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Dieci domande ad Antonio Ferrara su “Mia”

Dieci domande ad Antonio Ferrara su “Mia”

Eleonora: Da che cosa è nata l’esigenza di scrivere una storia che ha come tema la violenza sulle donne?
Antonio: Da un’idea di mia moglie Marianna, convinta (come me, d’altra parte) che la letteratura per ragazzi sia una forma speciale di educazione sentimentale.
Eleonora: A cosa è dovuta la scelta dei nomi dei protagonisti, Stella e Cesare?
Antonio: Cesare è il nome di un imperatore, di un dittatore, di uno che dalla sua donna vuole tutto, anche i pensieri. Stella ha un nome che evoca il desiderio, è l’oggetto del desiderio.
Eleonora:Il linguaggio utilizzato è molto semplificato e diretto, rispetto a quello che ci si aspetterebbe impiegato con un tema del genere. Questa decisione deriva dal voler inviare un messaggio alle nuove generazioni? Oppure è dovuta alla convinzione che la violenza sia particolarmente diffusa tra gli adolescenti e dunque un lessico di facile comprensione risulta più adatto e realistico?    

Antonio: Volevo rendere il personaggio “autentico”, credibile, attuale, e dunque ho scelto di adoperare una specie di parlato-scritto tumultuoso e corrente, più parlato che scritto, che suonasse riconoscibile agli adolescenti.

Eleonora: Per quale motivo ha deciso di rivelare fin dall’inizio la fine del libro, annullando quel clima di suspense che avrebbe potuto crearsi?   

Antonio: Per fare in modo che il lettore “drizzasse le antenne” da subito e interpretasse i diversi maltrattamenti come spie, segnali di come la storia sarebbe andata a finire.

Eleonora: All’interno della storia si avverte un grande senso di impotenza. Le è mai venuto in mente di far reagire Stella alle ingiustizie subite, e dunque donare un lieto fine alla vicenda, trasmettendo l’invito a non rimanere passivi di fronte alle difficoltà della vita?

Antonio: Nemmeno per un momento, il finale era già scritto dall’inizio. I ragazzi sono in grado di fare a meno del lieto fine, e comunque volevo che la storia non fosse per nulla rassicurante, fino alla fine. Volevo che creasse impotenza, appunto, frustrazione, e generasse così voglia di reazione, di riscatto.
Eleonora: Dopo aver completato il libro, rileggendolo, cosa ha provato? Ha sentito l’esigenza di cambiare qualcosa?
Antonio: Soddisfazione per la rabbia e l’impotenza che produceva, che poi era il mio obiettivo iniziale. Soltanto nel primo capitolo avrei finito prima, mi sarei fermato a “… perché lei era mia”.
Eleonora: Ci sono stati dei momenti di blocco totale della scrittura, oppure “Mia” è uno di quei lavori scritti di getto e tutti in una volta?

Antonio: Non tutto in volta, ma comunque velocemente, in preda a una specie di furia di denuncia.

Eleonora: Data la brevità del libro, condivide anche lei l’opinione dei poetae novi, secondo i quali “da un grande libro deriva una grande bruttura”?

Antonio: Non sempre libro lungo corrisponde a libro brutto, ma è un fatto che adoro scrivere e leggere libri brevi i cui capitoli siano a loro volta brevi.
Eleonora: Man mano che si procede con la lettura del romanzo, ci si accorge sempre di più come i comportamenti di Cesare vengono resi privi di importanza e giustificati dalle azioni della ragazza. Con questa caratteristica che sfumatura voleva dare al racconto? Voleva “ingannare” il lettore facendo sperare una fine diversa da quella già annunciata?    

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Antonio: No, volevo indurlo a tentare di giustificare il comportamento di Cesare, che naturalmente non ha nessuna giustificazione. Volevo mostrare insomma quanto sia importante vigilare e decifrare correttamente certi atteggiamenti, che spesso i ragazzi considerano normali e che invece – a saperli interpretare – annunciano già tragedie future.

Eleonora: Si aspettava che il libro riscuotesse questo grande successo?

Antonio: Francamente no, anche se speravo che fosse accolto favorevolmente dalle ragazze e dai ragazzi e che producesse dibattito.

Eleonora Boni – qualcunoconcuicorrere.org

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