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Jonathan Coe, La casa del sonno

Jonathan Coe, La casa del sonno

Ho sempre adorato le coincidenze e gli imprevisti della vita, il famoso “caso”, il destino di ogni essere umano, il chiedersi costantemente: “Come sarò tra 10 anni? E tra 30? Cosa farò nella mia vita? Le persone che oggi mi circondano, ci saranno ancora?”. Tutto ciò mi ha sempre affascinato. Quella sottile ma indelebile linea della nostra vita, che si dirama continuamente in base alle scelte che prendiamo e che si collega, anche solo per poco, a quella di altre persone. Ecco uno dei temi principali di questo straordinario romanzo: l’intrecciarsi continuo di linee, il destino strettamente collegato delle vite di cinque personaggi.

“La casa del sonno” si svolge “nell’enorme, grigia e imponente cittadina di Ashdown”, dove all’inizio degli anni ottanta, abitano un gruppo di ragazzi. Sarah, il nucleo vero e proprio di tutto il romanzo, una giovane di cui non ti dimentichi facilmente: particolare, magnetica, ma allo stesso tempo soggetta a problemi relativi al sonno e soprattutto dominata dagli strani sogni che non riesce a distinguere dalla realtà. Gregory, egocentrico e ambizioso studente di medicina – psichiatria per l’esattezza – e ossessionato dal successo, ma soprattutto dal sonno. Veronica, affascinante, intelligente e innamorata del teatro. Terry, un ragazzo che dorme 14 ore al giorno, una forte passione per il cinema, e infine Robert, studente di lettere, innamorato di Sarah, disposto a fare qualsiasi cosa per lei e per l’amore. Ma c’è un altro fondamentale protagonista: il sonno. Infatti, circa 10 anni dopo, nel 1997, Ashdown non è più una casa-studio per studenti universitari, ma una clinica che ospita pazienti affetti da narcolessia, insonnia, sonniloqui e altre malattie strettamente collegate al mondo dei sogni, ma allo stesso tempo anche alla realtà.

Non avevo mai letto un libro del genere. Non saprei bene come definirlo: di formazione, certo, ma anche molto filosofico, misterioso, vero. E’ uno di quei romanzi che seriamente non riesci a smettere di leggere, ti tiene incollato fino alla fine, ti entra nella mente e ti fa pensare. Appena finisci di leggere quell’ultima parola di quell’ultima pagina dell’ultimo capitolo sei così felice di aver finalmente trovato un romanzo così bello, così giusto, così geniale, che subito dopo ti rendi conto che purtroppo è finito, e vorresti rileggerlo ancora e ancora, ma sai che non sarà mai come la prima volta: proprio come un sogno nel quale, una volta sveglio, vorresti tornare immediatamente, ma purtroppo, pur provandoci, non riesci.

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Vittoria Ridolfi

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