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Un incipit al giorno: Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura

Un incipit al giorno: Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura

La mattina che io e Alì siamo diventati fratelli faceva un caldo da morire e stavamo riparati sotto l’ombra stretta di un’acacia. Era venerdì, il giorno della festa. La corsa era stata lunga e stancante, eravamo tutti e due sudati fradici: da Bondere, dove abitavamo, siamo arrivati dritti fino allo stadio Cons, senza fermarci mai. Sette chilometri,

passando per tutte le stradine interne che Alì conosceva come le sue tasche, sotto un sole talmente cocente da sciogliere le pietre.Sedici anni in due avevamo, otto a testa, nati a tre giorni di distanza l’uno dall’altra. Non potevamo che essere fratelli, aveva ragione Alì, anche se eravamo figli di due famiglie che  non si sarebbero neanche dovute rivolgere la parola e invece vivevano nella stessa casa, due famiglie che avevano sempre condiviso tutto.

Stavamo sotto quell’acacia a prendere un po’ di fiato e di fresco, imbrattati fino al sedere della polvere bianca e sottile che si alza dal fondo delle strade al minimo sbuffo di vento, quando da un momento all’altro Alì se n’è uscito con quella storia della abaayo. “Vuoi essere mia abaayo?” mi ha chiesto, mentre ancora aveva il respiro spezzato, le mani ai fianchi ossuti, stretti sotto  i pantaloncini blu che erano stati di tutti i suoi fratelli prima di finire a lui. “Vuoi essere mia sorella?” Conosci qualcuno per una vita e c’è sempre un momento esatto a partire dal quale, se per te è una persona importante, da lì in poi sarà sorella o fratello.

Legàti per la vita da una parola, si rimane.

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