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Il viaggio della vita di Lazarillo de Tormes

Il viaggio della vita di Lazarillo de Tormes

Sappia allora la Signoria Vostra, prima di qualunque altra cosa, che mi chiamano Làzaro de Tormes  figlio di Tomè Gonzàles e di Antonia Pèrez, originari di Tejares, nei pressi di Salamanca. La mia nascita avvenne dentro il fiume Tormes, e per questo motivo presi il soprannome. E avvenne in questo modo: mio padre, che Dio lo perdoni, lavorava come mugnaio in un mulino che sta sulla riva di quel fiume e nel quale macinò per oltre quindici anni. E trovandosi una sera mia madre nel mulino, incinta di me, le vennero le doglie e mi partorì lì; quindi posso dire di essere nato proprio nel fiume.

Questo che viene presentato qui sopra è l’incipit. In queste righe il narratore, ovvero il protagonista della storia, inizia a raccontare la vicenda. Nel primo capitolo, luogo in cui troviamo le parole riportate qui sopra, Lazarillo De Tormes fa un breve riepilogo dei primi anni della sua vita, arrivando poi, molto velocemente a quello che narra realmente il romanzo.

Siamo nella Spagna del 1500, quando inizia il nostro romanzo. Lazaro, un povero ragazzo condannato fin dall’infanzia a vivere solo con la madre, decide un giorno, a seguito dell’ennesimo trasferimento della madre, di partire per un lungo viaggio: la sua vita. Lazarillo, come lo chiama sua madre, sperimenta la vita, passando di padrone in padrone , imparando a distinguere il bene dal male. Ha modo per primo di fare esperienza con un vecchio cieco, uno dei personaggi importanti del libro, che accompagna Lazzaro per un lungo periodo di tempo. E’ un vecchio cieco, venuto un giorno alla casa del ragazzo; Lazaro diventa suo aiutante; successivamente incontra un parroco particolarmente avaro, così tanto che tutto il cibo che aveva lo teneva in una robusta cassa di legno per evitare che Lazaro potesse rubarne il contenuto; poi incontra, dopo aver lasciato il suo secondo padrone, un cavaliere gentile ma povero, disposto a dargli tutto e niente. Infatti era un uomo umile che non possedeva molto denaro, ma che con Lazzaro aveva stretto un profondo rapporto di amicizia; credo, infine che sia l’unico padrone da cui Lazaro non sia scappato, ma che invece, lo abbia abbandonato. Rimasto profondamente deluso dal comportamento del cavaliere, viene mandato da un prete, un uomo che odiava i cori e i pasti in convento. Fu il primo che diede a Lazaro un paio di scarpe, ma il ragazzo decise ugualmente di fuggire da lui. Fu così che Lazzaro finì nelle mani dell’uomo più sfacciato che esista sulla terra, un venditore di bolle. Era solito trovare qualsiasi modo, ma dico, qualsiasi, per vendere le sue bolle. La situazione economica del povero ragazzo non migliorò di certo con il suo sesto padrone. Era un pittore di tamburelli, un uomo umile con cui non ebbe modo di trascorrere molto tempo. Per caso Lazaro trovò un cappellano, il quale gli affidò il compito di vendere l’acqua in città, ed è così che il ragazzo non ebbe più fame ed ebbe dei vestiti decenti.  Quando si vide con quei vestiti, decise di abbandonare il mestiere che gli aveva suggerito il cappellano e si affidò nelle mani di un alguacil, ma rimase con la guardia solo per un breve periodo perché il lavoro, essendo molto importante era anche molto pericoloso; una sera, quando lui e il suo padrone erano di guardia, dei malviventi iniziano a picchiarli: il suo padrone morì, ma Lazaro riuscì a scappare e ad andare al servizio di un re, il quale, avendo avuto modo di conoscere la persona che era il ragazzo, decide di dargli in sposa una domestica della reggia.

Ognuno di questi uomini insegna a Lazzaro come procurarsi il cibo, ognuno a modo suo. Una battaglia continua alla ricerca di un nuovo mentore, che si rivela spesso peggiore del precedente.

Questo libro è un vero e proprio romanzo di formazione, in cui troviamo un ragazzo, che da bambino, cresce e ha modo di farsi una cultura. E’ molto veloce e simpatico, soprattutto per certi aspetti descritti dal protagonista, Lazzaro, riportato nel titolo del libro come “Lazarillo de Tormes”. Mi ha colpito molto il carattere del personaggio, perché leggendo il libro, ho avuto modo di rispecchiarmi nella bellissima figura che è il protagonista, facendomi riaffiorare alla mente molte delle sue birbonerie che io ogni tanto compievo quando ero una bambina. Lazzaro, per me interpreta la figura di un bambino buono, ma che poi, crescendo, capisce il senso della vita, apprendendo molto dai suoi maestri. La fabula e l’intreccio scorrono paralleli: l’autore all’inizio del libro sembra che descriva la storia come fosse un ricordo che procede regolare dal punto di vista cronologico. Il lessico è molto semplice e il linguaggio non è particolarmente complesso, bensì scorrevole. Sono presenti più che altro le sequenze riflessive, dialogiche e narrative, in cui il lettore ha la possibilità di spiegare e riflettere sulle varie scelte che prende in considerazione. E’ un libro che di fondo non vuole comunicare un messaggio preciso: potremmo descriverla come una grande metafora che lascia al lettore varie possibilità di congedo. A mio parere questo testo vuole comunicare come una persona, da piccola ed ingenua (che si rincarna precisamente nella figura di un bambino) possa col tempo maturare, scoprire cosa riserva la vita per lui e come una persona possa crescere psicologicamente. Lazaro in questo romanzo, racconta soprattutto com’ è dovuto cavarsela da solo nei momenti di difficoltà e come ha saputo reagire ai comportamenti dei vari padroni.

“E questo fu il tempo in cui mi trovai nella maggiore prosperità e nel pieno della mia fortuna.”

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Questo explicit definisce quello che ora Lazarillo sta vivendo, e porta sulla stessa lunghezza d’onda, flashback e realtà, ricostruendo così una cronologia d’eventi.

Margherita Romiti

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